Ho tanti pensieri per la testa in questo periodo, tante cose delle quali occuparmi e preoccuparmi che faccio fatica a dormire. Il cervello non si spegne come la lampada sul comodino, continua a elencarmi cosa devo fare, cosa ho scordato di fare, con chi devo parlare e cosa devo dire, quanto devo pagare e quanto mi resta in tasca, cosa devo comprare, riordinare, buttare via, stirare, chi devo vedere, dove devo andare e quando andarci.
Allora leggo prima di dormire, per distrarmi da quell'elenco, anche questo mi dà da riflettere, ma in modo diverso. Sto leggendo un libro del 1996, di un giornalista che nel 1992 attraversa l'Africa da nord a sud solo con i mezzi pubblici. Ci trovo passaggi che mi riportano a oggi e penso.
Allora leggo prima di dormire, per distrarmi da quell'elenco, anche questo mi dà da riflettere, ma in modo diverso. Sto leggendo un libro del 1996, di un giornalista che nel 1992 attraversa l'Africa da nord a sud solo con i mezzi pubblici. Ci trovo passaggi che mi riportano a oggi e penso.
"Quando incontri un profugo la prima cosa che fai è cercare di immaginare i suoi pensieri. Una bus station per te è un luogo di passaggio. Per lui è una casa, e potrebbe esserlo per i prossimi venti minuti o venti giorni o venti mesi. Un viaggiatore ha sempre una casa a cui pensare, e per questo prova la sensazione di trovarsi altrove. Un profugo è un eterno viaggiatore per il quale il concetto di altrove è inesistente. La sua casa è dove poggia il sedere. Cerca ciò che ha perduto sapendo che la ricerca potrebbe durare in eterno. Un profugo non sa cos'è la nostalgia poiché, per sopravvivere, la sua anima ha disimparato a provare questo sentimento."
Sergio Ramazzotti, Vado verso il Capo
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