lunedì 27 febbraio 2017

Vita in barattoli


«Scrivere in me-naturale. Alcuni scrivono in me-diesis»
Paul Valéry, Tal quale, 1941/43


Un caro amico mi ha consigliato di appuntarmi le intense sensazioni di questi ultimi momenti prima della partenza. Lo faccio da sempre. Ho l'abitudine di raccogliere a parole, su un quaderno o in un file, emozioni, pensieri, stati d'animo e sentimenti per conservarli così come li provo. Li metto in barattoli sotto vuoto appena sfornati dal cuore, dalla mente o da una qualsiasi parte del corpo, così mantengono fragranza e freschezza nel tempo. 

Li apro quando scrivo, li rivivo e li adatto alle esigenze della trama. Sì, i miei romanzi sono storie fantastiche e improbabili - impossibile non esiste - però contengono sentimenti veri, presi da quei barattoli. Soffrire e immaginare di soffrire non sono la stessa cosa. Quello che i miei personaggi dicono, pensano e provano viene da lì ed è autentico.

Alcuni barattoli sono etichettati: innamoramento, dolore, euforia, paura, nostalgia, desiderio, ansia, rabbia... Altri contengono emozioni e reazioni particolari che non hanno un nome preciso, eppure sono certa che sapreste riconoscerle, se evocate con le parole giuste al momento giusto, perfino in mezzo a storie fantastiche. Ciò che sto provando e pensando in questi giorni non ha nome e forse non basterebbe tutta la mia immaginazione per inventarlo se non lo stessi vivendo, ma lo metto in un barattolo e riuscirò a raccontarlo in qualche modo perché è anche questo che fanno gli scrittori.

Dunque, vi giro il consiglio di appuntarvi come vi sentite in certi momenti della vita, come vi sentite davvero, non in voi-diesis.

giovedì 23 febbraio 2017

Un saluto e una richiesta

Il 2 marzo, cioè tra una settimana esatta, partirò per un viaggio di sola andata.

Qualcuno di voi lo sa da un po', a qualcuno l'avevo accennato quando ancora non sapevo bene dove andare, per qualcuno è una sorpresa. Bene, ci siamo.

in fuga dalla deforestazione
La destinazione iniziale è l'isola di Bali in Indonesia, così dice il biglietto aereo. Questo è il primo passo, il primo gradino di una scala che dovrebbe condurmi alla vita che cerco da sempre: in mezzo alla natura a proteggere la natura.
Non immaginatemi, dunque, su una spiaggia con un cocktail colorato, ma infangata dai capelli agli scarponi nella giungla di una delle diciassettemila isole dell'arcipelago indonesiano, intenta a piantare un albero o nascosta tra il fogliame a fotografare mamma orangutan che allatta il suo cucciolo.

Cambio vita, drasticamente, e non per fuggire da qualcosa, sebbene sia stanca di un certo modo di vivere e di pensare, io vado verso qualcosa e può darsi che sarò pure felice.

Può darsi che scriva ancora romanzi, racconti e stupidaggini, forse un libro su questa avventura, può darsi anche che smetta perché troppo occupata a vivere per raccontarlo. Chissà. Per adesso non abbandono il blog, ma è naturale che rallenterà, l'ha già fatto in queste settimane di preparativi. Se vi va, passate a bussare ogni tanto, fuso orario e connessione permettendo, vi risponderò con piacere.

Per leggere, avrò il Kindle, una biblioteca in pochi etti, ed ecco la mia richiesta: se volete suggerirmi una lettura da portare con me c'è ancora spazio, ma vi concedo un solo titolo a testa. Con i classici sono a posto perché per fortuna molti si trovano gratis in versione ebook, per il resto consigliate in libertà.

Parto dall'Indonesia, ma potrei finire in Africa, non metto limiti al mio orizzonte né freni al destino. Scoprirete da foto e racconti che fine avrà fatto questa impiegatuccia sfigata che fa sogni giganteschi.

Come un'esploratrice d'altri tempi, sventolo il fazzoletto e vi saluto tutti.

A ship in harbor is safe, but that is not what ships are built for.”

John Augustus Shedd

venerdì 17 febbraio 2017

Rapporto scrittore - lettore





"Si scrive soltanto una metà del libro, 
dell'altra metà si deve occupare il lettore."

Joseph Conrad,
Lettera a Robert Bontine Cunninghame Graham, 1897










"La prima cosa necessaria per scrivere con efficacia 
è di non aver alcun riguardo 
per il lettore che non lo merita."

Miguel de Unamuno

martedì 14 febbraio 2017

Dicono i muri

A volte si trovano belle frasi nei libri, altre volte sono scritte sui muri da poeti di passaggio.

"La felicità non è un'emozione, è una scelta"


sabato 11 febbraio 2017

Dice Neil

"È sui sensi che fondano le nostre convinzioni, sono gli unici strumenti di cui disponiamo per fare esperienza: la nostra vista, il tatto, la memoria. Se i nostri sensi ci mentono, allora non abbiamo niente di cui fidarci. E anche se non crediamo a ciò che ci dicono, non abbiamo altro modo per viaggiare che quello di seguire la strada che essi ci indicano, ed è una strada che dobbiamo percorrere fino in fondo."

Neil Gaiman, American Gods



mercoledì 8 febbraio 2017

Dice Ray


I buoni scrittori toccano spesso la vita. I mediocri la sfiorano con una mano fuggevole. I cattivi scrittori la sforzano e l'abbandonano.”

Ray Bradbury, Fahrenheit 451



venerdì 3 febbraio 2017

Giornalisti e scrittori

Ho terminato la lettura di Vado verso il Capo di Sergio Ramazzotti.

Dal deserto all'oceano passando per la giungla solo con mezzi pubblici e passaggi, Ramazzotti incontra e racconta le storie dei suoi compagni di viaggio da Algeri a Città del Capo. Condivide autobus, cassoni di camion, vagoni di treno, furgoncini, taxi straripanti di merci e umanità con profughi, viaggiatori, commercianti, militari e disperati. Anche se scende lungo la costa ovest, gli arrivano voci da tutto il continente attraverso le persone che gli siedono accanto.
L'Africa è un continuo movimento di confini, nomi di città e intere nazioni che cambiano a seconda del potere di turno, regioni tribali che si separano e tornano a fondersi in mappe da aggiornare usando il sangue come inchiostro. Sotto numeri e linee, però, ci sono persone, interi popoli che li subiscono senza voce per gridare. La serenità non esiste, la certezza nemmeno. C'è invece la pazienza, la pazienza infinita di queste genti che impiegano una settimana a percorrere trecento chilometri per far visita alla famiglia perché le strade fanno schifo e i trasporti non funzionano per i poveri; che aspettano trenta ore la partenza di un autobus per andare a vendere il piccolo tesoro di un pezzo di ricambio per un motore che rutterà altro fumo nero nel bel cielo africano; che rimbalzano tra una frontiera e l'altra fuggendo a piedi da villaggi stritolati dai bulldozer ciechi e impazziti di guerre senza soluzione e speculazioni senza freni.

Mi ha restituito l'Africa di Kapuscinski della quale avevo nostalgia, quel meraviglioso e triste pandemonio di colori, miseria, gentilezza e corruzione. Non immaginate quanto sappia essere poetico un giornalista quando si cala nella poesia polverosa e sudata di questi luoghi, la cronaca diventa personale, il racconto imparziale si circonda di pensieri e sentimenti. È così che un giornalista si trasforma in scrittore.
Mi ero lamentata, tempo fa, di un giornalista che non si era fatto scrittore per raccontarmi una delle tragedie alpinistiche accadute sul K2, Graham Bowley con No way down. In quel caso, l'autore è rimasto freddo e distaccato lasciando anche me fredda e distaccata dopo la lettura.
L'Africa di Ramazzotti, invece, come quella di Kap, è vissuta e narrata dall'interno e dal basso. Non è un articolo di economia o politica scritto da un hotel di lusso lontano dalla gente, ma il resoconto nudo e crudo di chi si mette nei panni degli ultimi, vive in mezzo a loro, dorme schiacciato contro i loro corpi, mangia nei loro piatti, soffre caldo, freddo, fame e sete con loro, si sposta con la stessa fatica, sbatte contro gli stessi muri, subisce le stesse angherie.
Sia Ramazzotti che Kapuscinski, alla fine, provano una sorta di senso di colpa nel lasciare queste persone al loro destino e tornare a casa, colpevoli di avere una casa, acqua corrente, elettricità, lavoro, istruzione, cure mediche. Arrivano a un punto in cui non si accontentano di raccontare perché sono diventati parte della storia. Una volta provata l'essenza di quella vita ai minimi termini e averla odiata e maledetta, ne sentono la nostalgia, non sono più capaci di tornare alla condizione precedente. L'ho provato anch'io, rientrando a casa dopo viaggi – non vacanze – in luoghi remoti che mi hanno mostrato l'essenziale di me e non sono più riuscita a riconoscermi nel superfluo, perfino possedere un armadio mi pareva troppo quando per quattro mesi la mia casa era stata uno zaino. Lo descrive Ramazzotti nelle ultime righe di questo libro quando, giunto al termine del suo lungo tragitto via terra, prende l'aereo che lo riporterà in Italia:

Quando mi allaccio la cintura fuori è buio. Il comandante spegne le luci della cabina e dà un po' di gas ai quattro motori del suo Boeing. Si sente un sibilo lontano: senza fretta, rulliamo verso la testata della pista e ci allineiamo per il decollo. Un istante prima che le ruote si stacchino da terra vorrei poter scendere e andare a prendere l'autobus.”

Il modo in cui Ramazzotti mi ha raccontato questa esperienza è il modo in cui l'ho vissuta leggendo. Per me vale l'equazione: fredda cronaca = fredda impressione del lettore, apprendo nozioni e non provo nessuna emozione né empatia, dimentico; racconto personale = segno caldo nel cuore del lettore, apprendo nozioni e in più mi appassiono.

mercoledì 1 febbraio 2017

Paura

"Non vi è piacere eguale alla paura. Se fosse possibile sedere rendendosi invisibili fra due persone su di un treno, in una qualsiasi sala d'attesa o in un ufficio, la conversazione che potremmo udire non farebbe che girare attorno allo stesso argomento. In un primo momento, potrebbe certamente sembrare che la discussione verta su di un tema completamente diverso: l'economia nazionale, le vittime degli incidenti stradali, le parcelle sempre più salate dei dentisti. Ma tolte metafore e allusioni, ecco che annidata nel cuore del discorso vi è la paura. Mentre la natura di Dio e la possibilità di vita eterna rimangono nel dimenticatoio, rimuginiamo tutti contenti le minuzie delle nostre miserie. La sindrome non riconosce confini. In vacanza così come al lavoro, si ripete lo stesso rituale. Con l'inevitabilità della lingua che batte dove il dente duole, ritorniamo pedissequamente alle nostre paure. Ne parliamo con la stessa bramosia di un uomo affamato davanti ad un piatto colmo e fumante."

Clive Barker, incipit di Books of Blood vol.2