sabato 9 luglio 2016

Prendo la bici e vado in Australia di Francesco Gusmeri

Con molto ritardo sulla tabella di marcia che mi ero prefissata, ho finito di leggere Prendo la bici e vado in Australia di Francesco Gusmeri, preso dalla lista dei 12 libri arretrati che voglio recuperare entro l’anno. Ho impiegato tanto tempo perché l’ho letto nelle pause pranzo e lasciandolo in ufficio non proseguivo la lettura di sera. 

La mia opinione riguardo questo diario di viaggio a pedali è positiva in generale, ma non del tutto. Malgrado si tratti di una bella storia, non sono soddisfatta perché mi ha lasciato ben poco addosso. Gusmeri ha affrontato un’impresa fisicamente e psicologicamente epica partendo da Brescia in bicicletta per arrivare a Melbourne attraverso il Medio Oriente e l’Asia, mesi di fuga da una situazione infelice in Italia e verso qualcosa che alla fine non riesce a trovare. 

L’impresa, dicevo, è epica, ma il racconto dell’impresa non lo è. La parte migliore del libro è l’inizio che corrisponde alla fine del viaggio, quando Gusmeri si interroga sul significato dei chilometri percorsi, su cosa verrà dopo e rivede le tappe che l’hanno portato faticosamente in Australia. Proprio nel ricordare il racconto comincia a perdere forza perché ho avuto l’impressione che l’autore scrivesse per riflettere da solo, come pedalava da solo, escludendo il lettore dall’avventura. Poche righe per descrivere un paesaggio e pochissime per un incontro, anche quando era importante, non sono sufficienti a rendere il lettore partecipe. Ha viaggiato per se stesso e l’ha raccontato per se stesso, al lettore non rimane nulla delle migliaia di chilometri di mondo passate sotto le ruote di quella bicicletta. Non si capisce come questo viaggio abbia cambiato il protagonista perché chi legge non riesce a fare lo stesso viaggio per comprendere e condividere le sue sensazioni. Gusmeri ha pedalato attraverso Paesi meravigliosi, culture interessantissime, paesaggi inusuali eppure non li ha nemmeno sfiorati, non si è fermato a osservarli o non ce lo racconta. Il viaggio che ha compiuto è stato dentro se stesso, ma noi non possiamo arrivarci se non ci accompagna facendoci vivere la sua esperienza. Nomina luoghi che io stessa ho visitato, ma è come se li guardasse dall’interno di una boccia di vetro che non permette scambi con l’esterno, con l’ambiente e le persone. Ho avuto l’impressione che fosse di fretta, che sfrecciasse da un luogo all’altro e di fretta l’ha raccontato. 
Avrei voluto leggere di un viaggio come One man caravan dei giorni nostri, ma non è quello che ho trovato in queste pagine.

Ho trovato anche passaggi ben scritti, metafore azzeccate e bei pensieri, ma troppo radi in un libro che mi aspettavo esplorasse più a fondo gli incontri che si fanno in viaggio e le emozioni provate perché sono quelle che danno un senso allo spingersi in terre lontane: scoprire, imparare, sperimentare, meravigliarsi. Gusmeri, però, non cercava questo, desiderava solo fare i conti con se stesso e con la propria vita. Non aveva bisogno di condividerlo con un lettore e questo libro, a mio parere, avrebbe dovuto restare un diario personale.

Prossimo titolo pescato dalla lista: Groupie. Ragazze a perdere di Barbara Tomasino.
Argomento del prossimo post che pubblicherò: chissà...

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