Tutti i difetti del nostro romanzo-capolavoro nella recensione di una serie tv.
Giochiamo a sostituire la serie con la carriera di scrittore, l'episodio pilota con il romanzo d'esordio, i minuti con le pagine, gli attori con i personaggi, gli effetti speciali con lo stile, l'investimento in denaro con l'investimento in studio e impegno, e così via.
Poi facciamo del nostro meglio perché non si parli mai in questo modo di ciò che scriviamo.
«Non mi capita spesso di piantare lì un pilot prima della fine.
Voglio dire, che vuoi che siano quaranta minuti a fronte dei quaranta e passa episodi che vedo ogni settimana? Ti vedi il tuo bel pilot, lo recensisci, se t’è molto piaciuto vai avanti, se t’è piaciuto così così vai avanti lo stesso (si sa mai), se ti ha fatto schifo lo molli. Però insomma, il pilot te lo vedi tutto.
Ecco, Olympus, nuova serie epico-mitologica di SyFy, è riuscita dove altre hanno fallito: al minuto 33 ho detto basta.
Intendiamoci, non che SyFy sia una garanzia di qualità, le capita abbastanza spesso di toppare. Allo stesso tempo, però, ha anche le sue cosine carine tipo Z Nation e 12 Monkeys, e non le saremo mai grati abbastanza per Battlestar Galactica.
Ma Olympus no. Olympus non è neanche “brutta”, Olympus è “impresentabile”, che è molto diverso. È la differenza che passa tra cercare di creare un buon prodotto fallendo nel tentativo, e non rendersi conto che TUTTO quello che si sta facendo conduce inesorabilmente al fallimento.
Ho provato vero imbarazzo nel seguire quei 33 minuti. Ho pensato alle persone che lavorano alla serie, le ho immaginate tornare a casa alla sera, di fronte allo sguardo compassionevole del coniuge, e scoppiare a piangere dicendo “cosa ho fatto?”. Ho pensato al fatto che c’è chi ha speso dei soldi per fare questa cosa (comunque pochissimi) pensando davvero che qualcuno potesse dire “be’, bello”.
E ovviamente qualcuno c’è, perché se andate sulla pagina imdb della serie vedrete che un tot di persone hanno messo voti altissimi. Ma uno sguardo più attento ci mostra che sono tutte e solo ragazze sotto i diciotto anni. Cosa che comunque non mi spiego mica tanto bene, e mi inquieta anche un pochino in termini di futuro dell’umanità.
Scusate, non vi ho ancora detto di cosa parla.
In pratica c’è un giovane eroe che si chiama Hero (perché la chiarezza è importante) che all’inizio del pilot combatte contro un ciclope (il cui design, per lo meno su carta, è l’unica cosa dell’episodio che forse si salva). Lo combatte perché deve salvare una tizia, un oracolo, che poi deve riportare indietro per farsi dire delle cose, farsi aiutare con qualcosa, boh, salcazzo.
E mentre tornano indietro vengono aggrediti da due tizi assoldati all”Esselunga (e se non li hanno assoldati lì, per lo meno è lì che hanno preso i vestiti): il nostro eroe ne uccide uno, l’altro scappa e poi si scopre che è il fratello dell’oracolo. Dell’amico morto frega già niente a nessuno.
Nel frattempo vediamo altra gente, ad Atene, che si prepara per battaglie epicissime.
Il problema è che anche questi scampoli di trama sono difficili da assorbire, perché mentre la vicenda si dipana voi siete distratti dal sangue che vi esce dagli occhi.
Gli attori sono cani. Oh, ci sta, può capitare. Cioè, li hai scelti tu, non è certo colpa mia se poi ti devo insultare, ma vabbe’. Il protagonista Tom York è espressivo come un cappotto, sembra un Clark di Smallville molto più incapace, e già Tom Welling non era esattamente da oscar. Magari può pure essere considerato belloccio, ma davvero non ti ci faresti nemmeno servire l’aperitivo, penseresti che non ne è in grado.
E lui è tipo il più bravo.
Tutta la storiella è poco interessante, e si vede chiaramente il tentativo di scrivere uno show che, come altre serie contemporanee, metta insieme spunti presi da ogni dove. Da Once Upon a Time a Game of Thrones, seppur in modi diversissimi, molti telefilm giocano con i generi e con i personaggi, assecondando certe regole e infrangendone altre. Un metodo molto metatestuale che spesso funziona. Qui invece bastano quattro minuti perché della vita e della sorte di Hero non ce ne freghi assolutamente nulla, perché abbiamo la chiara percezione che se lui morisse non cambierebbe niente a nessuno.
Ma fin qui siamo ancora nell’ambito del brutto. Attori cani che recitano dialoghi spompi dentro trame poco interessanti: siamo effettivamente nel regno della bruttezza.
Ma questo è niente. Olympus diventa impresentabile quando le cose epiche vuole farle “vedere”. Siamo in una serie che parla di antichi eroi, dèi poderosi, mostri famelici ed eserciti in tanga. Insomma, sono cose che richiedono un certo livello di effetti speciali, una regia di un certo tipo. Tutt’intorno, nel resto del mondo cine-televisivo, ci sono i draghi di Game of Thrones, c’è 300, c’è pure Ray Palmer che fa Iron Man in Arrow. Insomma, il livello visivo delle serie cresce, bisogna starci dietro.
Da questo punto di vista, Olympus fallisce ogni volta che può.
Ogni.
Volta.
Sembra Hercules del 1995, ma neanche, almeno Hercules andavano a girarlo al parco e così avevano gli esterni. Qui è tutto un green screen evidentissimo, come quando si andava a Gardaland a farsi i video sul tappeto volante: ventimila lire e via, sei Aladino. Facevi anche finta di indicare un punto del suolo, laggiù in basso, quando in realtà indicavi le scarpe dell’addetto alla macchinetta, che alle undici del mattino ne aveva già pieni i coglioni dei bambini che gli indicavano le scarpe facendo finta che fossero casa loro vista dall’alto. Ma comunque era una cosa che facevi vedere a tua zia, non la mandavi in onda in tv. Se la fai vedere a tua zia sei tenero, se la mandi in onda sei imbecille.
Praticamente tutte le inquadrature di Olympus gridano vendetta. Una pochezza di mezzi e di idee che mette francamente a disagio. Una sensazione già non positiva, che viene ulteriormente acuita da alcuni momenti di spudorata copia: ad esempio quei ralenty simil-Spartacus, in cui però lo sfondo continua a essere disegnato coi pastelli a cera.
Ecco, magari se vai dai produttori di sta roba e glielo chiedi, ti dicono pure che sono tutte scelte stilistiche, insomma volute. E tu ridi, ridi, ridi…
Alla fin fine, cercando di recuperare un po’ di compostezza dopo che questi marrani mi hanno strappato 33 minuti di vita, credo che il problema di fondo sia uno: per fare Olympus hanno speso ventisei euro a episodio. No, non è un dato ufficiale, è una mia personale stima. Perché di certo manca la creatività e mancano gli attori e manca tutto, ma è davvero inaccettabile che una rete importante come SyFy si presenti al pubblico con una cosa che sembra un progetto scolastico delle medie girato col cellulare di due generazioni fa.
Eddai su, io sono anche uno a cui non piace infierire, però cazzo, la dignità è una roba importante.»