Leggo ancora, anche se la polemica per fortuna sta sfumando perché cominciava ad annoiarmi, articoli di scrittori tradizionalisti schierati contro le brutture del self-publishing. Le boiate sono inevitabili in un sistema libero e aperto a tutti. Uso sconsiderato e abuso di opportunità (che sulla carta sono splendide, ma si prestano a divenire armi a doppio taglio) si trovano in ogni ambito, compreso quello letterario. Peccatori di superbia, ignoranza e presunzione, ne è pieno il mondo e il web di conseguenza. Inutile discuterne ancora.
Di contro, gli stessi si dicono delusi dall'editoria tradizionale che anziché selezionare e investire su nuovi talenti, si ricicla con i distillati. Su questo punto concordo in pieno e la penso come la giovane libraia.
Poi
ci sono i geni incompresi che, pessimisti e disfattisti, si lamentano
sostenendo che nella vita e nell'editoria hanno successo solo i
raccomandati, i disonesti e quelli che hanno un colpo di fortuna.
Sarebbe a dire che impegnarsi è fatica sprecata, studiare è
inutile, perseguire un obiettivo è da sognatori illusi. Questo però
è l'atteggiamento di chi attribuisce agli altri la responsabilità
dei propri fallimenti. Troppo facile, molto italiano.
Personalmente,
ho scelto il self-publishing perché non mi piace l'idea di essere
legata a un contratto con scadenze, cessioni di diritti e tutto il
resto. Dopo la deludente esperienza, anni fa, con un piccolo editore,
accetterei la “gabbia” del contratto solo da una grossa casa
editrice. Nel frattempo, mi rimbocco le maniche e mi faccio carico di tutto il lavoro che
comporta scrivere, confezionare e promuovere un libro, ma questa scelta comporta delle responsabilità verso i lettori che non tutti hanno voglia di prendersi. Nessuno ci obbliga a scrivere, ma se scegliamo di farlo dobbiamo farlo come si deve.
Cosa
ne pensa, invece, chi legge? Grazie alla mia rubrica del giovedì,
che nel suo piccolo cerca di far emergere il volto umano dei blog e
le diverse personalità dei blogger che li gestiscono, ho avuto il
piacere di scambiare quattro chiacchiere con persone che leggono
molto e parlano delle proprie letture. La maggior parte di loro non
ha pregiudizi e non si schiera contro il self, pur ammettendo di
trovarsi spesso per le mani romanzi illeggibili, sgrammaticati e
sconclusionati proposti da gente che pretende visibilità malgrado abbia sfornato un lavoro pessimo. Il self-publishing responsabile comporta un grosso impegno, ma un bel libro emerge anche dalla marea di
boiate, la differenza si
nota e ripaga gli sforzi dell'autore.
Lo dimostrano le recensioni sorprese dalla qualità di un Legione creato in autonomia, curato spendendo tempo e risorse con il supporto di beta-reader ed esperti perché si avvicinasse al prodotto di un editore.
Lo dimostrano le recensioni sorprese dalla qualità di un Legione creato in autonomia, curato spendendo tempo e risorse con il supporto di beta-reader ed esperti perché si avvicinasse al prodotto di un editore.
Questo, qui accanto, è uno stralcio della
conversazione avuta via Facebook con una blogger che stava leggendo
River per recensirlo.
Non
mi piace pensare a me come una selfer o una indie o come diavolo si chiamano oggi gli autori auto-pubblicati.
Non è l'editore o il mezzo di pubblicazione a definirmi: è ciò che scrivo.
Non è l'editore o il mezzo di pubblicazione a definirmi: è ciò che scrivo.
La battaglia della delegittimazione è molto antica. E' connaturata nell'uomo.
RispondiEliminaA me pare che alcuni scrittori o blogger pseudo intellettuali cavalchino la litania e lo sberleffo senza cognizione di causa nei confronti di chi si cimenta nel self. Non comprende il fenomeno di una società che cambia rapidamente a colpi di tecnologia e nuove visioni.
Lo scrittore moderno si emancipa da un sistema editoriale che non valorizza e fagocita libri troppo in fretta.
Io quando potrò pubblicare mi piacerà chiamarmi Indie. Essere scrittori indipendenti, al di fuori del sistema tradizionale, è un atto di coraggio e di orgoglio.
Io ho letto River, sei molto brava, presto leggerò gli altri. Continua così. ;)
Grazie, Marco. Si pensa spesso che accettare le novità significhi rinunciare alle tradizioni, ma possono convivere prendendo il meglio da ogni parte. Si fa forse troppa filosofia su scelte personali.
RispondiEliminaE Come dice una famosa pubblicità di cosmetici "io guardo il risultato" del libro in questo caso. Personalmente sono imbrida, amo ancora l'editoria tradizionale e pubblicherò ancora con editori, ma ho voluto provare il self. Foss'anche solo per parlare ocn cognizione di causa.
RispondiEliminaEsatto, Sandra. Si può benissimo fare self di qualità con il giusto impegno.
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