Le
descrizioni sembrano essere passate di moda in un mondo dove si va
dritti al punto, dove le informazioni sono ridotte a misura di
slogan. I lettori moderni ammettono di saltarle perché le trovano
noiose.
Ottimo.
Preparo il cappio per impiccarmi, dal momento che sono la mia
specialità.
Secondo
i miei recensori e lettori, che evidentemente sono poco moderni, una
delle qualità della mia scrittura sta proprio nel descrivere in
maniera efficace l'ambientazione delle mie storie.
Una delle frasi
ricorrenti è “sembrava proprio di essere
lì” sia in riferimento ai miei libri che ai post sul mio blog di
viaggi.
Ho
sempre trovato similitudini tra il viaggio per il mondo e il viaggio
attraverso un libro: aspettative prima della partenza, scoperta di un
luogo nuovo, intrecciarsi di trame, incontri con personaggi sconosciuti. E il
luogo. Soprattutto il luogo. Per me evoca e integra la maggior parte
delle sensazioni.
È
chiaro che nella scena di una sparatoria non frega a nessuno se sullo
sfondo c'è il mare o la montagna, quindi le descrizioni vanno dosate
come ogni altro elemento. Quando servono, però, riesco a dare il
meglio di me, accompagnando il lettore proprio dove voglio che arrivi
e da lì può guardarsi intorno, sentire il calore o il gelo, ascoltare la
pioggia o la risacca, insieme ai personaggi che vivono e parlano
intorno a lui.
Non si tratta di allungare il brodo, non si tratta di elencare una serie di dettagli, ma di trovare le giuste quattro pennellate che nella mente del lettore formino un disegno completo di sensazioni. Non deve guardare una fotografia, deve sentire che le foglie in autunno diventano croccanti.
A volte, basta trovare un punto di vista inedito, non solo nel descrivere un panorama, ma anche una stanza, una città, un bar, senza annoiare, riuscendo comunque a dare le informazioni utili a calare il lettore nell'ambiente. Il primo libro di Legione comincia con una goccia di pioggia e poi allarga lo sguardo sul paesaggio che circonda la casa di River. Quando arriva alla casa di pietra, il lettore si è già guardato intorno, come se l'avesse raggiunta con le sue gambe.
Quando nella descrizione si inserisce il personaggio, si deve tener conto del suo punto di vista. Entrare nella propria camera da letto è diverso dall'osservare una stanza per la prima volta, come quando si arriva nell'albergo prenotato per le vacanze.
Ci sono dettagli da sottolineare e altri che vanno tagliati senza pietà perché superflui. Devo sapere che il letto si trova sotto la finestra se, quando il personaggio si sveglia, vede l'assassino che lo spia dietro i vetri, ma il colore delle lenzuola è necessario?
Una descrizione è anche un buon posto dove nascondere indizi. Nelle mie, qualche volta, inserisco un particolare che non si coglie come importante al momento, ma, se lo riprendo qualche capitolo dopo, il lettore lo riconoscerà come un'indicazione stradale, tornando all'istante in un luogo familiare.
Leggendo
Autostop per l'Himalaya di Vikram Seth ho viaggiato con questo
studente indiano dalla Cina attraverso Tibet e Nepal, osservando il
panorama dal suo finestrino sgangherato. Non c'è una trama con
intrighi e colpi di scena, a parte guasti meccanici, intemperie e
drammi burocratici; i personaggi che incontra sono pochi e sollevano
lunghe e profonde riflessioni sulle differenze tra culture. Il risvolto di copertina dice: "Sospeso tra paesaggi incantati e quotidiane miserie".
Quello
che mi ha trascinata tra le pagine di Seth sono proprio le
descrizioni dei paesaggi, delle case, dei monumenti, ma anche delle
abitudini, delle tradizioni, dei camion scassati sui quali viaggiava.
Questo libro è datato 1983 (anche se la prima edizione italiana è
del 1992) e contiene alcune delle più belle descrizioni che abbia
mai letto. Seth ha uno stile asciutto e semplice. Sa usare termini banali in combinazioni che li rendono tutt'altro che banali.
Sembrava proprio di essere lì.